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Transito di San Benedetto

21 marzo 2025

Riflessione di Madre Noemi

Il 21 marzo, giorno in cui si celebra il transito di San Benedetto, non è soltanto una memoria liturgica, ma un’occasione preziosa per riflettere sul senso profondo della vita e della morte, sul passaggio dall’esistenza terrena alla pienezza dell’incontro con Dio, e sulla necessità di vivere ogni giorno con lo sguardo rivolto all’eternità. È un giorno che ci invita a fermarci, a interrogarci su ciò che conta veramente e a riscoprire la direzione del nostro cammino interiore, poiché Benedetto, con la sua stessa vita, ci insegna che l’uomo non è fatto per restare immobile nella contingenza del tempo, ma è chiamato a camminare verso la comunione con il Padre, in un pellegrinaggio che trova compimento solo oltre la soglia del visibile. Il suo transito, pertanto, non è semplicemente la fine di un’esistenza terrena, ma il coronamento di un’intera esistenza consacrata alla ricerca di Dio e alla testimonianza della sua verità.

San Benedetto da Norcia, padre del monachesimo occidentale e autore della celebre Regula Benedicti, morì intorno al 547, secondo la tradizione, in piedi, sorretto dai suoi discepoli, nell’atto estremo di affidarsi a Dio con la preghiera sulle labbra e con le mani levate al cielo, quasi a significare che il vero destino dell’uomo non è nella terra, ma nel cielo. La sua morte non fu un evento improvviso né un momento di disperazione, ma il culmine di una preparazione consapevole, vissuta con la serena certezza di chi ha trascorso ogni istante nella fedeltà al Vangelo. Come racconta san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi, Benedetto, percependo l’approssimarsi del suo compimento terreno, si dispose con cuore aperto e fiducioso: ricevette l’Eucaristia, si fece condurre in chiesa e, nell’atteggiamento della preghiera, si consegnò alla volontà divina, lasciando ai suoi discepoli non solo un’eredità spirituale fatta di parole, ma un gesto eloquente che trasmette il senso più autentico della speranza cristiana.

Celebrare il transito di San Benedetto significa, dunque, ben più che commemorare un evento del passato: è un invito ad interrogarci sulla qualità del nostro rapporto con Dio, sulle scelte quotidiane che plasmano il nostro cammino di fede e sulla consapevolezza con cui affrontiamo il tempo che ci è donato. Il termine transitus non indica soltanto la fine di una vita, ma racchiude il mistero della trasformazione, la realtà di un passaggio che, se vissuto con fede, non è un distacco, ma un compimento. Benedetto, con la sua regola improntata all’equilibrio tra preghiera e lavoro (ora et labora), ci ha lasciato un modello di vita che non si limita agli ambienti monastici, ma parla a chiunque desideri un’esistenza fondata sulla stabilità interiore, sulla fiducia nella Provvidenza e sull’accoglienza della volontà divina con spirito libero e aperto.

Il suo messaggio è di straordinaria attualità, poiché in un mondo dominato dall’incertezza e dall’affanno per il futuro, Benedetto ci ricorda il valore della pace interiore, della ricerca del silenzio, della necessità di ascoltare Dio per riscoprire ciò che davvero conta. Non è un caso che il suo transito avvenga nel tempo della Quaresima, periodo di conversione, di purificazione e di rinnovamento spirituale, durante il quale ogni cristiano è chiamato a guardare dentro di sé per lasciarsi trasformare dalla grazia. Così come la Quaresima è un itinerario verso la Pasqua, il transito di Benedetto ci ricorda che la nostra esistenza è un pellegrinaggio verso la luce della Risurrezione e che solo aprendoci a questa prospettiva possiamo vivere ogni giorno con rinnovata speranza.

Il 21 marzo, allora, non è soltanto un anniversario da celebrare, ma una voce che risuona dentro di noi e ci chiede di riflettere sul nostro cammino spirituale: siamo davvero pronti a lasciare che Dio plasmi la nostra vita, come fece Benedetto? Questa ricorrenza ci insegna a non temere il passaggio, ma ad accoglierlo con lo stesso spirito con cui Benedetto ha affrontato il suo ultimo istante, sapendo che ogni passo, se vissuto nella fede, ci avvicina sempre più alla nostra Pasqua eterna. Che anche noi, al termine del nostro pellegrinaggio terreno, possiamo, come Benedetto, alzare le mani al cielo e affidarci senza paura all’abbraccio infinito dell’amore di Dio.